La prima foto che ricordo di aver scattato

La prima foto che ricordo di aver scattato

No, non è questa. Ne ricordo molte altre prima, ma questa è la prima di cui ricordo l’intenzione. È Porto, in Portogallo. Questa, in particolare, non è neppure l’originale, che era una diapositiva.

E legato a questa foto c’è il ricordo di quell’estate, di come arrivammo a Porto, in camper. E di cosa successe prima, arrivandoci. Ecco il racconto.

Rotolando verso sud

1997: io ho 14 anni, Giorgia ne ha, credo, 8 o 9. La sua è una famiglia di camperisti esperti, la mia non è da meno. In quel periodo viaggiavamo molto: io avevo già passato in camper un certo numero di estati, con una stramba felicità; Giorgia e la sua famiglia andavano via con il camper durante le estati e anche per qualche weekend in montagna.

Stiamo andando verso sud, tra Porto e Lisbona, circondati dalla macaia portoghese: 80 km/h è la massima velocità che il nostro Arca Europa faccia-piatta ci concede e fuori fa un caldo. C’è silenzio intorno e i nostri due camper sono per lo più gli unici mezzi a percorrere l’autostrada assolata.

Alla sosta precedente io mi ero traferito di camper: ero salito su quello dove c’era Giorgia. Ora l’Arca Europa azzurro lo vedo dal finestrino posteriore che ci segue un po’ arrancando. È una specie di regola non scritta delle ultime vacanze in camper con altri camper: qualcuno tende ad aprire e condurre la carovana, ma poi ci si alterna, così chi sta davanti può godersi la vista a campo aperto, senza l’ingombro dei parallelepipedi di alluminio dei compagni di viaggio,

Il camper di Giorgia è un mansardato, uno di quei camper che conservano la cabina del furgone su cui si basano e, subito sopra la cabina, hanno quella specie di becco prominente: di solito nel becco c’è un letto e quella zona si chiama — guarda un po’ — mansarda. Ad un certo punto l’atmosfera nel camper diventa rovente: la macaia entra e si impossessa di atmosfera e umore. Così, stanchi di non far nulla e annoiati, io e Giorgia decidiamo di salire sopra la cabina a goderci il viaggio guardando attraverso il finestrino che dalla mansarda guarda avanti, sulla strada.

Se già in basso nel camper fa caldo, la mansarda è un forno. In più non circola aria, neanche uno spiffero, non un misero refolo.

Non mi ricordo le chiacchiere e i giochi, ma ricordo che ad un certo punto io e Giorgia ci scambiamo uno sguardo e, senza quasi parole, ci intendiamo: per respirare dobbiamo aprire il finestrino davanti e far entrare un po’ del vento caldo dell’estate portoghese.

I finestrini dei camper si aprivano ruotando delle piccole maniglie a forma di L disposte lungo i bordi della finestra: di solito ce n’era più di una, su almeno tre lati. L’idea è quella di aprire al primo scatto, quello che lascia passare un po’ di aria, anche se la finestra appare chiusa. L’avanzare in autostrada dovrebbe spingere dentro un po’ di fresco.

Io e Giorgia ci intendiamo così bene che quasi contemporaneamente allunghiamo le mani, una mia e una sua, verso le maniglie della finestra frontale e, all’unisono le ruotiamo.

È un attimo: le maniglie della finestra ci sfuggono di mano, il vento bollente si infila sotto l’anta del finestrino che, come un’ala, si solleva in un istante, fa perno sui cardini e si stacca con un sonoro crack. Si solleva altissima nel cielo portoghese e si schianta a terra decine di metri più indietro, un po’ più avanti dell’Arca Europa faccia-piatta che per poco non si ritrova la finestra nel parabrezza.

Il papà di Giorgia accosta, sorpreso dallo schianto. Lo stesso fa mio papà qualche centinaio di metri dopo. A mio fratello tocca il compito di scendere e andare a raccogliere quel che resta della finestra al centro dell’autostrada.

Io e Giorgia ci aspettiamo una sonora sgridata. Però, forse perché la situazione è assurda, la calma del posto così irreale e il caldo così assordante, la sgridata arriva molto annacquata. I rispettivi papà tirano fuori le magiche valigette degli arnesi, orgoglio e serenità degli uomini che non devono chiedere mai, e si mettono a nastrare quel che resta della finestra di plastica. Cercano di farla stare al suo posto per poter continuare il viaggio e ripensarci poi a vacanza finita.

Epilogo.

Una volta tornato, il papà di Giorgia compra un finestrino con cui sostituire quello rotto in vacanza. A lavoro finito e con i primi freddi, Giorgia e la sua famiglia partono per un weekend in montagna. Per un’incredibile coincidenza, il finestrino sostituito viene dimenticato aperto: a pochi metri dalla partenza si solleva, si stacca e di nuovo si schianta in strada, questa volta rompendosi in pezzi minuscoli e costringendo Giorgia e la sua famiglia a restare a casa.

Poco tempo dopo i camper con quel finestrino in quella posizione hanno smesso di esistere.

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Sono Silvano Stralla. Faccio lo sviluppatore, mi piace fare fotografie e pedalare biciclette.
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