Gli ultimi giorni a Tokyo siamo stati in un piccolo appartamento non lontano dalla stazione Nippori.
Era al primo piano: il piccolo balcone, occupato quasi del tutto dai motori dei condizionatori, affacciava su un pezzo di sopraelevata. Ero contento di abitare lì per qualche giorno: eravamo passati lì vicino i primi giorni dopo essere arrivati in Giappone. Mi aveva colpito il santuario shintoista che sta a lato della strada: tre lapidi che raffigurano scimmie. Si vede, che qualcuno ci pensa, a questo santuario: si vede dai fiori. In questo santuario abita un geco: l'ho visto, che non si curava del traffico che faceva vibrare la terra.
Questa parte di Tokyo sembra un'altra cosa. Le stazioni dei treni sono dimesse, sembrano le più vecchie. A ridosso dei binari c'è una lunga serie di love hotel: hanno insegne messe in alto, sul tetto. Di notte si accendono e brillano di luci lampeggianti e di luci al neon, ma di giorno mostrano le colature della ruggine, la vernice che manca, chiazzata di grigio e marrone proprio dove i neon, poche ore prima, promettevano faville. Nei vicoli storti di questa zona ci sono ristoranti piccoli, ammucchiati l'uno all'altro, in disordine: ad essere calati qui da un ipotetico ascensore spaziale, pochi azzarderebbero l'ipotesi di trovarsi in una metropoli.
Auto e camion salgono rombando sullo scivolo dello svincolo, che passa poco sopra i balconi del primo piano e poi sale ancora. Non troppo in là, la sopraelevata diventa un ponte che supera la ventina di binari che tagliano questo angolo di Tokyo: prima che i treni si fermino alla stazione di Nippori, l'altoparlante di bordo dice che si può "cambiare qui per la linea Joban, la linea Tohoku, la linea Ueno, la linea Takasaki, la linea Utsunomiya, la linea Yamanote e per i treni veloci delle linee Hakita, Tohoku, Yamagata e Hokuriko. La lunghezza di questo elenco, all'inizio, è quasi comica. Poi, rapidamente, diventa rassicurante.
Quando sono entrato nell'appartamento ho sperato che di sera, come altre zone della città, anche questa parte di Tokyo si sarebbe spenta, e con lei la sopraelevata, ad una certa ora, con la semplicità delle cose che non si fanno notare. Succedono.
È stato solo due giorni dopo, affacciandomi, che ho visto sbucare quel cubo giallo.
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